Padova e l'Arte del Trecento

 

     6 Febbraio 1300: Enrico degli Scrovegni, ricco banchiere e uomo d’affari padovano, decide di trasferire la residenza di famiglia nell’area in cui sorgono i resti dell’antica arena romana, dove acquista un palazzo appartenente ai Dalesmanini. Nulla sopravvive di quella monumentale dimora, di cui possiamo però avere uCappella degli Scrovegnin’idea osservando alcuni acquerelli ed incisioni ottocentesche, tranne la piccola cappella di famiglia, eretta da Enrico in suffragio del padre, Reginaldo (o Rinaldo) ricco usuraio.

 

     Oggi la Cappella degli Scrovegni (foto) è considerata uno dei massimi capolavori dell’arte cristiana occidentale per lo splendido ciclo di affreschi di Giotto che ne decora l’interno. Intitolata a Santa Maria della Carità o all’Annunciata (fu consacrata il 25 marzo 1305, giorno dell’Annunciazione), la cappella si presenta come un semplice edificio a mattoni a vista, con facciata a capanna coronata da archetti pensili, una trifora ed un portale lunettato. L’interno ad aula unica con volta a botte è interrotto a metà da due altari laterali.

 

     Lo stupendo ciclo di affreschi realizzato molto probabilmente tra il 1303 e il 1305 segna la fase di piena maturità di Giotto. In esso il maestro toscano esprime il raggiungimento di una grande coerenza stilistica, rivelando appieno le sue capacità narrative e compositive attraverso un linguaggio di forte impatto emozionale e visivo che coinvolge completamente lo spettatore rendendolo partecipe degli eventi che osserva.

 

     La storia della salvezza dell’umanità, che inizia sulla parete di destra con la scena della Cacciata di Gioachino dal Tempio (foto), si snoda lungo le pareti in 38 scene armoniosamente distribuite su tre registri sovrapposti narrando in modo semplice e coinvolgente gli episodi principali della vita di Maria, di Gesù, la Passione e la Resurrezione, per concludersi con il grandioso affresco della controfacciata raffigurante il Giudizio Universale. Completano la decorazione le allegorie monocromatiche dei Vizi e delle Virtù disposte lungo lo zoccolo.

Cacciata di Gioachino dal Tempio     Il ciclo alla Cappella degli Scrovegni è anche l’affermazione solenne dei principi che saranno poi tipici dell’Umanesimo, in particolare la centralità della figura umana nella Storia. E’ in definitiva la trasposizione nell’arte figurativa del pensiero  di S. Francesco, che Giotto aveva avuto modo di comprendere a fondo lavorando alla decorazione a fresco della Basilica di Assisi, su commissione dei frati francescani. Se la conoscenza di Dio si attua attraverso la Natura allora Giotto da’ voce anche al paesaggio, agli spazi naturali, agli ambienti tridimensionali, alle anatomie dei personaggi, alla loro gestualità fortemente caratterizzata.

 

     Giotto ambienta la Storia Sacra nel Trecento distaccandosi totalmente dall’arte orientale, in particolare da quella bizantina. Nelle sue composizioni non troviamo più atemporali sfondi d’oro, immagini statiche e ieratiche, figure simboliche dal significato criptico, ma ampi paesaggi, strutture spaziose e tridimensionali, un sapiente e luminoso cromatismo, personaggi plastici, espressivi colti in frammenti di vita quotidiana. Il dio si fa’ uomo, il Verbo diventa Carne. Le scene si popolano di personaggi i cui sguardi sono carichi di significati, i gesti sono teatrali, spontanei, esprimono una vastissima gamma di sentimenti, emozioni, passioni, tutti umani: umiliazione, rabbia, tenerezza, dolore, amore, invidia, gioia, disperazione.

 

     Giotto si sbizzarrisce nella rappresentazione di luoghi, costumi ed usi del suo tempo, rendendo viva ed attuale una storia antichissima. Ogni singolo dettaglio del ciclo pittorico, dalla scelta delle scene alla loro disposizione, dall’iconografia all’ambientazione, tutto sembra essere stato studiato nei minimi particolari per creare infiniti richiami e legami tra l’Antico e il Nuovo Testamento, tra la divinità dei testi sacri e la quotidianità dei fedeli che frequentavano la piccola cappella e ancora per assolvere la doppia funzione di decorazione di un edificio sacro e di divulgazione della cultura religiosa e del messaggio cristiano. Un grandioso poema sacro dunque che attraverso una concezione iconografica e teologica unitaria trasmette chiaramente ed inequivocabilmente il messaggio cristiano del raggiungimento della Salvezza Eterna.

 

     Uscendo dal portale principale il fedele non poteva sfuggire al monito lanciato dalla carrellata dei Vizi che si conclude con la terrificante scena dell’Inferno, in contrapposizione alle Virtù che conducono alla visione del Paradiso. Il Bene ed il Male sono idealmente contrapposti; al fedele rimane dunque il libero arbitrio, una forte scelta morale che lo condurrà in un caso alla salvezza nell’altro alla perdizione.

 

Il Giudizio Universale

     La grandiosa scena del Giudizio Universale (foto) sembra interpretare visivamente la descrizione biblica dell’Apocalisse. Nel cielo Cristo Giudice, “il cui volto assomiglia al sole” siede al centro all’interno di arcobaleno circondato dagli Angeli. Seduto su di un trono sotto al quale sono rappresentati i simboli dei quattro Evangelisti, Dio ha lo sguardo rivolto verso i Beati, la mano destra aperta in segno di accoglienza dei Giusti, mentre la sinistra condanna e respinge i dannati.

 

     All’evento partecipa tutto il cosmo: in alto il Sole e la Luna, due Angeli posti ai lati della trifora reggono i carteggi del Cielo, scendendo verso il basso si incontrano le schiere angeliche allineate in gruppi, illuminate da aureole dorate, quindi le figure dei dodici apostoli che simbolicamente tagliano la scena in orizzontale separando i Cieli dalle rappresentazioni del Paradiso, alla destra di Dio, e dell’Inferno alla sua sinistra. E’ impressionante il contrasto tra la gioia e serenità che permea il gruppo dei Beati proiettato verso l’alto e la terribile visione delle anime dannate che cadono a precipiEnrico Scrovegnizio verso l’inferno trasportati da quattro fiumi incandescenti fino al luogo dove un Satana dalle sembianze mostruose li condanna ad atroci ed eterne sofferenze. Al centro sopra il portale d’ingresso è collocata la scena della dedicazione della cappella che ritrae Enrico degli Scrovegni, inginocchiato al cospetto di Maria, S.Giovanni e S. Caterina d’Alessandria, nell’atto di offrire il modello della Cappella (foto). Lo sguardo di Enrico, vestito nel colore della penitenza, il viola, esprime l’orgoglio per il gesto che sta compiendo.

 

     Osservando bene il modellino della Cappella si nota la presenza di un transetto sporgente oltre la spalla del frate che regge la cappellina. Nella realtà tale transetto non fu mai realizzato, probabilmente per un veto posto dai frati Eremitani che abitavano nel monastero attiguo al Palazzo degli Scrovegni. Giotto allora diede prova della sua conoscenza prospettica, dipingendo due coretti sull’arco sopra l’altare e creando così l’illusione di uno spazio reale con pareti e costoloni.

 

Cielo Stellato     La volta a botte è dipinta come un cielo stellato (foto), dove, entro clipei, campeggiano le figure a mezzo busto della Madonna con Bambino, del Cristo Benedicente e di Profeti e Santi.

 

     L’altare dell’abside è ornato da tre belle sculture in marmo realizzate da  Giovanni Pisano, scultore molto stimato da Giotto. La Madonna con il Bambino è considerato uno dei massimi capolavori di Giovanni per la morbidezza del modellato, per la gotica eleganza dello spiegarsi delle vesti, per l’intensità espressiva con cui si guardano madre e figlio.

 

     All’interno dell’abside, decorata da un ciclo di affreschi che riguardano la morte e l’Assunzione di Maria furono eseguiti in un secondo tempo, non da Giotto. Qui si trova anche il Sepolcro di Enrico Scrovegni, il quale dall’esilio a Venezia aveva chiesto esplicitamente con testamento del 22 marzo 1336 di  essere sepolto a Padova nella cappella da lui fatta edificare.

 

 

La Famiglia Scrovegni


Enrico Scrovegni

     Nata praticamente dal nulla, la famiglia Scrovegni si era affermata nel giro di due o tre generazioni, come una delle più ricche e influenti di Padova. In particolare fu Reginaldo (o Rinaldo), padre di Enrico, che fra il 1260 e il 1290 portò alle stelle la fortuna economica della famiglia, esercitando con enorme profitto l'attività usuraia ed investendo con determinazione e spregiudicatezza in ogni genere d'affari il proprio capitale.

 

     La loro notorietà si estendeva oltre i confini cittadini e nell'ideale classifica dei più potenti casati padovani, stilata da Giovanni Da Nono troviamo gli Scrovegni collocati al quinto posto. La favolosa fortuna accumulata da Rinaldo si era facilmente tradotta in altrettanto rapida nobiltà a cui però faceva riscontro una pessima reputazione ed un notevole disprezzo ed invidia da parte dei padovani.

 

     Tale fama dovette giungere fino a Firenze dove Dante stava scrivendo la sua Commedia. Ed è così che troviamo Reginaldo immortalato per sempre negli infamanti versi dedicati agli Usurai del canto XVII:

 

Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

vidine un’altra come sangue rossa,

63 mostrando un’oca bianca più che burro.

E un che d’una scrofa azzurra e grossa

segnato avea lo suo sacchetto bianco,

66 mi disse: "Che fai tu in questa fossa?

Or te ne va; e perché se’ vivo anco,

sappi che ‘l mio vicin Vitalïano

69 sederà qui dal mio sinistro fianco.

Con questi Fiorentin son padoano:

…..

 

     Impossibile non riconoscere nella descrizione del disegno che contraddistingueva il sacchetto del padovano (una scrofa azzurra e grossa) l’emblema degli Scrovegni.

 

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pdf  "L'arte di Giotto e i Giotteschi"